L’operatore umanitario Gennaro Giudetti chiude il Festival Francescano con una testimonianza che gli costa il divieto di tornare nella Striscia
Si conclude con una testimonianza dal territorio di Gaza la diciassettesima edizione del Festival Francescano.
“Quello che sta accadendo è un genocidio in tempo reale e siamo tutti a guardare”, ha dichiarato Giudetti di fronte a una platea commossa. “Non abbiamo più la giustificazione che non lo sapevamo in passato. Adesso lo stiamo vedendo e non possiamo più stare fermi.”

Il silenzio dell’informazione e l’attacco agli aiuti
La testimonianza di Giudetti ha messo in luce una realtà spesso taciuta: l’esclusione sistematica della stampa internazionale da Gaza e gli attacchi mirati contro operatori umanitari e civili. L’esempio più drammatico è quello del 21 luglio, quando il magazzino di farmaci della sua organizzazione è stato bombardato per tre volte consecutive.
“Avevamo informato i militari israeliani che nel magazzino c’erano farmaci per tutta la Striscia”, ha raccontato l’operatore. “Ci hanno rassicurato dicendo ‘rimanete in casa, è tutto ok’. Ma quando le finestre sono esplose e la porta è saltata, abbiamo dovuto fuggire. Tre bombardamenti successivi hanno raso al suolo 3.000 metri quadri di medicinali. Non è un effetto collaterale, non è un errore tecnico.”
Le parole di Giudetti trovano riscontro nelle testimonianze dei colleghi della Croce Rossa Internazionale: “Non sai quanti proiettili stiamo estraendo dalla testa o dallo stomaco di bambini piccoli di quattro, cinque, sei anni. Quando vedi un bambino di quattro anni con il cranio esploso da un proiettile, non puoi dire che è un effetto collaterale. Il cecchino ha preso la mira e ha sparato nel cervello.”
Gaza laboratorio di guerra: AI, droni e tattiche disumane
Il conflitto ha trasformato la Striscia in quello che Giudetti definisce un “laboratorio bellico” dove l’intelligenza artificiale raggiunge livelli devastanti. I droni militari, mossi dall’AI, pattugliano costantemente il territorio e sono programmati per sparare automaticamente contro chiunque venga identificato come “sospetto Hamas” basandosi solo sui movimenti, “senza sapere se è realmente una persona di Hamas o meno”.
L’operatore ha denunciato l’uso della tecnica del “double tap” – il doppio colpo che prende di mira soccorritori e giornalisti dopo un primo bombardamento – e l’impiego di “esche” da parte dei cecchini: “Sparano a dei ragazzini per strada senza ucciderli, ferendoli. Quando ti avvicini per aiutare il bambino che grida per terra, sparano di nuovo.”
Particolarmente inquietante è la strategia di concentramento della popolazione: dai 200 punti di distribuzione alimentare presenti prima del conflitto si è passati a soli quattro, due al nord e due al sud, per “spingere tutta la popolazione in un enorme campo profughi”. Qui, attraverso l’intelligenza artificiale, le persone vengono “mappate uno a uno” – una pratica che Giudetti definisce “illegale anche secondo il regolamento internazionale dell’Unione Europea”.

I numeri del massacro e la società israeliana
Le cifre ufficiali parlano di 70.000 morti e 200.000 feriti, ma la realtà potrebbe essere molto più grave. Giudetti cita un soldato israeliano che parlava di oltre 200.000 morti, mentre sui palazzi distrutti i sopravvissuti scrivono in arabo: “Non dimenticatevi di noi, qui sotto c’è mia mamma, mio papà e i miei figli”, per permettere l’identificazione dei cadaveri quando le ruspe rimuoveranno i detriti.
L’operatore ha fornito anche uno spaccato critico della società israeliana, citando un sondaggio che rivela “oltre l’80%” di consenso verso l’uccisione dei bambini palestinesi. “La gente che vedete manifestare a Tel Aviv non vuole la pace con la Palestina – ha precisato – la maggior parte vuole solo gli ostaggi indietro.”
L’appello all’Europa e il rischio regionale
Giudetti ha rivolto un appello accorato all’Unione Europea: “Se non siamo noi che abbiamo un ruolo di mediazione con il governo di Israele, nostro alleato, chi lo deve fare? La Cina, la Russia, gli Stati Uniti? Siamo nati come patria dei diritti umani, la culla della civiltà. Ci stiamo sgretolando davanti all’ingiustizia di quello che sta succedendo a Gaza.”
Il rischio è quello di un’escalation regionale: Gaza come “detonatore” di un conflitto più ampio che coinvolga tutto il Medio Oriente. L’Egitto, terrorizzato da una possibile invasione di massa, ha già schierato l’esercito nella zona di Rafah, mentre le tensioni in Libano e Iran mostrano come il conflitto stia già contagiando l’intera regione.

“Non siamo antisemiti, siamo per la pace”
Prima di concludere il suo intervento, Giudetti ha tenuto a precisare una questione fondamentale: “Gli operatori umanitari non sono contro nessuno. Per il fatto di aiutare i palestinesi non significa essere antisemiti. Siamo tutti per la pace, a prescindere da tutto.”
Un messaggio che risuona come testamento morale di chi ha scelto di testimoniare la verità, pagandone il prezzo personale. Il Festival Francescano si conclude così con un appello che non ammette indifferenza: “Non possiamo stare fermi, non possiamo stare zitti. Dovremmo trasformare questi numeri in volti, in persone, perché ora tocca a loro, ma domani può capitare a noi.”
L’appuntamento è rimandato al 2026, con la speranza che la prossima edizione possa celebrare la pace anziché dover ancora denunciare la guerra.
