Nel dialogo con don Vacchetti emerge l’anima di un artista che ha sempre cercato il sacro nella quotidianità
Nel piazzale gremito di Villa Pallavicini di una calda sera bolognese, nell’ambito della rassegna “LIBeRi. Incontri con i protagonisti della cultura dell’arte e dello sport” dedicata al tema “La Speranza”, si è consumato un incontro particolare e intenso. Luca Carboni, il cantautore che ha attraversato decenni di musica italiana, si è seduto accanto a don Massimo Vacchetti per un “Autoritratto” che ha rivelato molto più di quanto le sue canzoni abbiano mai raccontato.
Il baule dei ricordi
Al centro del palco, un baule carico di memoria: una maglia del Bologna, scarpe da trekking, candele di cera piegate dal caldo, una foto di Dustin Hoffman. Oggetti che don Vacchetti ha estratto uno alla volta, come tessere di un mosaico biografico che ha preso forma attraverso le parole dell’artista.
“Mamma mia quanti!” ha esclamato Carboni salendo sul palco, visibilmente emozionato dalla partecipazione del pubblico. Ma l’emozione più grande è arrivata quando il sacerdote, con gesto teatrale ma carico di significato, ha acceso le candele intonando i versi di una sua canzone: “Caro Gesù da quanto è che non venivo qui da te, c’erano ancora le candele di cera e non queste con l’elettricità”.

Le domande che aprono l’anima
La prima domanda di don Vacchetti ha colto nel segno: “Quale tua canzone vorresti che i ragazzi ascoltassero?”. “Primavera”, ha risposto senza esitare Carboni, “canzone sulla rinascita, sulla riscoperta delle cose, proprio come sta succedendo a me in questo momento”.
Quando gli è stato chiesto quale delle sue canzoni racconti la felicità, la scelta è caduta su “La mia ragazza”: “Racconta di quando ho visto la mia ragazza diventare madre di mio figlio. La gioia è sempre figlia di un percorso che ha dentro il dolore, le mamme lo sanno bene”.
Il chierichetto che sognava melodie
È emerso il ritratto di un bambino speciale: quarto di cinque figli in una famiglia molto religiosa, chierichetto dai quattro anni nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo in via Lame, abituato alle serate in cui si recitava il rosario in latino. “In questo fitto familiare c’erano anche Gesù e il diavolo”, ha confessato con un sorriso, ricordando i racconti inquietanti delle nonne su diavoli vestiti da preti con gli occhi rossi.
Ma già da ragazzino sognava di inventare melodie, disposto ad abbandonare gli studi classici per realizzare la sua visione musicale. “Mi sono sempre affidato alla compagnia, a stare con la mia band”, ha rivelato, “mi sono sempre focalizzato sul grande sogno”, aggiungendo di non aver mai desiderato essere protagonista di se stesso, ma di “realizzare le mie cose e viverle insieme agli altri”.

Bologna come regola di vita
Una delle confessioni più toccanti è arrivata quando don Vacchetti gli ha chiesto di spiegare la frase “Bologna è una regola”. “Bologna è una realtà che mi ha dato tante opportunità per crescere”, ha spiegato Carboni. “Mi ha dato occasione di conoscere persone da tutte le parti d’Italia grazie all’università. Persone che sono anche rimaste in città creando ricchezza e cultura. La ricchezza di Bologna è avere tanti non bolognesi”.
Le passioni parallele
Il calcio è entrato nella sua vita giocando nei cortili “tra i fili del bucato, con le scarpe da calcio coi tacchetti che si consumavano sul cemento”. Non le toglieva nemmeno per andare a fare il chierichetto. Il suo mito era Beppe Savoldi, “perché non veniva mai in nazionale”, e ritagliava dai giornali le foto dei suoi gol. Più tardi si è appassionato al basket, diventando tifoso della Fortitudo.
Quando arrivò Corioni presidente del Bologna con Maifredi allenatore, fu chiamato insieme a Mingardi, Dalla e Morandi a scrivere l’inno che ancora oggi risuona al Dall’Ara.
L’incontro con Gesù
“Posso chiederti se e quando hai incontrato Gesù?”, ha domandato a bruciapelo don Vacchetti davanti alle 500 persone presenti. “Io penso che Gesù ci sia sempre stato nella mia vita”, ha risposto Carboni. “La chiesa l’ho sempre cercata e l’ho sempre avuta dentro, ma l’ho trovata anche camminando, contemplando la cattedrale della natura”.
Ha raccontato della mamma catechista, dei quindici giorni di campo vocazionale a Dobbiaco a dodici anni, di un rapporto con il divino che si è evoluto nel tempo. “All’inizio Dio era un’entità metafisica che mi spaventava, poi crescendo ho scoperto il Vangelo e sacerdoti che mi hanno aperto la mente”.
La malattia come scoperta
Il momento più intenso è arrivato quando ha parlato del tumore ai polmoni che lo ha colpito negli ultimi anni. “Quando mi diagnosticarono il cancro e iniziai la chemioterapia, ho cominciato a camminare e ho scoperto che da molti sentieri si vede San Luca dall’alto, come non la vedi mai. È iniziato un viaggio nuovo: andare a piedi dove potevo pregare vedendo il santuario sotto di me”.
Una battaglia vinta che ha dato nuovo significato alla sua “Primavera”: “Arricchisci il tuo tempo e non cercare più del pane quotidiano, lasciati andare alla vita e non disperarti mai”.
La voce scoperta da Dalla
Tra i ricordi più preziosi, quello dell’incontro con Lucio Dalla all’Osteria da Vito. Erano in studio con gli Stadio quando Dalla registrò di nascosto la voce di Carboni che canticchiava alcuni suoi pezzi. Poi riprodusse la registrazione attraverso gli amplificatori: fu così che Luca scoprì di “avere una voce” e Dalla lo spinse a diventare cantante. “Cazzo sono belle! Oh ma sei uno sbarbo!”, gli disse senza tante cerimonie.
Il gran finale
La serata si è chiusa con un momento di grande emozione: sul palco sono saliti Benedetto e Martino, figli del cantautore Claudio Chieffo, per intonare “Io non sono degno”, brano che Carboni ha interpretato in un album tributo al grande autore di canzoni religiose. Mentre i due giovani cantavano, Luca sussurrava le parole in disparte, in un momento di raccoglimento che ha toccato tutti i presenti.

Il messaggio di speranza
“Ci vuole un fisico bestiale per stare al mondo”, cantava Carboni negli anni Novanta, ma quella sera a Villa Pallavicini ha spiegato che quella “palestra” non era solo corporale: “È la palestra necessaria per vivere e allenare il cuore nelle fatiche della vita”.
In un’epoca che sembra aver smarrito la capacità di fermarsi e contemplare, l’autoritratto di Luca Carboni diventa un invito prezioso. La speranza, tema della rassegna, emerge dalle sue parole non come promessa astratta ma come esperienza concreta: quella di chi ha imparato a riconoscere il sacro nel quotidiano, la bellezza nei dettagli marginali, la presenza divina nei sentieri di montagna come nei cortili dell’infanzia.
“Stai nel fitto”, sembra suggerire con la sua vita. Perché è proprio lì, tra gli odori del dopo cena e il rosario in latino, tra le candele di cera e i tacchetti consumati sul cemento, tra la malattia e la guarigione, che si nasconde quella primavera dell’anima che non smette mai di rinascere. E che, come le sue canzoni, continua a offrire melodie di speranza a chi sa ancora ascoltare.