Sana Slow Wine Fair, a BolognaFiere fino al 29 marzo. Tre giorni per capire che cos’è il vino buono, pulito e giusto insieme a 542 produttori da 19 paesi
«Produrre vino è una forma d’arte: tenete insieme etica ed estetica, il bene e il bello. Divertitevi, fate vini come piacciono a voi, liberatevi dall’omologazione, siate virtuosi nei rapporti con la terra e con i vostri collaboratori. Vivete con gioia, ma tenete gli occhi aperti: non consideratevi mai immuni dalle responsabilità».
Con queste parole Carlo Petrini, presidente e fondatore di Slow Food, e Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, hanno aperto stamattina la prima edizione di Sana Slow Wine Fair, la manifestazione organizzata da BolognaFiere con la direzione artistica di Slow Food, che fino a martedì 29 marzo offre a professionisti del settore del vino e visitatori la possibilità di trovare in un solo luogo il meglio della produzione artigiana e sostenibile italiana e internazionale.
Un appello accorato, l’invito a coltivare la terra, a produrre vino – e più in generale cibo – tenendo a mente che l’agricoltura è un dialogo tra la natura e l’uomo. Che esiste una responsabilità sia ambientale che sociale. «Il nuovo paradigma del vino non ha a che fare soltanto con la qualità, un concetto ormai acquisito, ma con il modo in cui si produce. Ricordate – ha aggiunto Petrini rivolgendosi all’assemblea di produttori accorsi all’inaugurazione della tre giorni bolognese – che i consumatori del futuro saranno le ragazze e i ragazzi che oggi scendono in piazza chiedendo alla politica risposte contro la crisi climatica. Non si tratta di inseguire il consenso, ma di sapere che equità ambientale e sociale sono valori sempre più centrali nelle scelte di acquisto. Insomma, ragazzi, dedicatevi di più alla terra e meno al marketing».
Don Ciotti, ricordando la pericolosità e l’influenza della criminalità nella filiera alimentare, ha sottolineato il valore della «vitamina dell’equità e della giustizia» nel cibo che produciamo e portiamo in tavola. «A mafiosi, corrotti e criminali piace aprire aziende agricole: vogliono esibire la terra, ma non la amano. I dati sul caporalato sono impressionanti e per questa ragione vi chiedo di non chiudere mai gli occhi su ciò che accade. Il lavoro schiavo, purtroppo, esiste: molte persone straniere sono costrette a genuflettersi, ad accettare condizioni di lavoro inumane pur di avere un permesso per restare qui. Dobbiamo lottare per dare libertà e dignità a loro e al cibo».